Research Projects

Resilienza, coping e self efficacy per affrontare crisi economica, precarietà e disoccupazione.

Tipologia finanziamento Istituzionale

Ambito disciplinare Psicologia Applicata

Ente Finanziatore ATENEO - Attività di Ricerca Istituzionali (EX 60%)

Data avvio: 30 September 2013

Data termine: 30 September 2016

Durata:

Abstract:

Nella seconda metà del ‘900 con la diffusione di nuovi approcci quali la psicologia umanistica, la psicologia positiva e la psicologia di comunità, si e assistito all’instaurarsi di un nuovo paradigma; un cambiamento di ottica che ha indotto gli psicologi a focalizzare le proprie ricerche sulle risorse dell’individuo e ad elaborare metodologie per svilupparle. Questi tre approcci, pur nella loro diversità operativa, condividono l’attenzione alle potenzialità e alle risorse dell’individuo, così come alle sue relazioni interpersonali e ai contesti di vita. I tre costrutti: resilienza, coping e self efficacy Nelle scienze umane e sociali il concetto di resilienza ha una storia piuttosto recente è un’area di studio che ha avuto tradizionalmente come focus l’infanzia e l’adolescenza e, solo negli ultimi anni, Magrin (2008) ha trasferito tale concetto nell’età adulta e nel contesto lavorativo. La letteratura sulla resilienza, a partire dai primi lavori pionieristici di Emmy Werner, ha cercato con successo di individuare cosa caratterizza gli esseri umani resilienti, quali sono i fattori protettivi e i percorsi che permettono l’avvio di processi positivi quando si incontrano condizioni di vita eccezionalmente critiche o si e messi di fronte ai difficili problemi della quotidianità. Per Fergus e Zimmerman (2005) la resilienza denota quel processo di “fronteggiamento e superamento” degli effetti legati all’esposizione a fattori di rischio o eventi traumatici. Solo recentemente e in modo per il momento ancora parziale è stata, invece, prestata attenzione ai processi psicologici che sottendono la risoluzione positiva di fronte all’evento critico (Tugade, Fredrikson, 2004) o, per usare le parole di Richardson (2000), consentono una “reintegrazione resiliente”. Dato che uno degli scopi della psicologia positiva è comprendere come l’individuo negozia, risolve e cresce di fronte agli eventi stressanti e alle sfide della vita, tale obiettivo può essere raggiunto studiando parallelamente due costrutti tra loro strettamente correlati: la resilienza e il flourishing (il rifiorire). Essere rifiorenti presuppone il porsi degli obiettivi da perseguire attivamente con impegno ed energia. Occorre entrare in uno stato di “coinvolgimento vitale”, di flow con il compito che ci si è prefissi (Nakamura & Csikszentmihalyi, 2002). Il concetto di flourishing, attraverso un’articolazione dei punti di forza dell’individuo proiettato verso il benessere, può offrire una visione più ricca di ciò che significa crescere nonostante le difficoltà. Dall’altra parte gli studi sulla resilienza portano nella letteratura sul flourishing degli spunti interessanti sul come l’individuo riesce a sviluppare i propri punti di forza (Keyes & Haidt, 2003). All’interno della prospettiva psicosociale viene posta particolare attenzione alle esperienze familiari per coltivare la speranza e sostenere l’individuo verso un nuovo progetto di vita (Garmezy, Masten, Tellegen, 1984; Rutter, 1985, 1988). Emiliani (Emiliani, 1995) presenta la resilienza come una competenza che si sviluppa all’interno della dimensione relazionale e viene accresciuta e fortificata da tutte le esperienze in grado di favorire un sentimento di efficacia personale e di valorizzazione del sé. Pertanto, l’attenzione è posta su alcuni meccanismi psicologi strettamente collegati al processo di regolazione emotiva quali l’appraisal e il coping che, insieme alla sperimentazione delle emozioni positive, hanno dimostrato di avere dei legami con il costrutto della resilienza (Major, Richards, Cooper, Cozzarelli, Zubek, 1998;Fredrickson,Mancuso,Branigan,Tugade, 2000). La resilienza può essere considerata come la capacita di affrontare eventi stressanti, superarli e continuare a svilupparsi aumentando le proprie risorse con una conseguente riorganizzazione positiva della vita (Malaguti, 2005). Seppure il panorama di studi sul coping, condotti a partire dagli anni ‘30 fino ad oggi, sia vasto non è possibile ravvisarne una definizione univoca (Zani, Cicognani, 1999). Spesso in letteratura si trovano definizioni di coping che rimandano alla capacita di far fronte agli eventi stressanti della vita. In quest’ottica il coping può essere considerato genericamente come il reciproco dello stress, ma il coping non è solo questo, dietro a tale costrutto vi è la complessità e la molteplicità dei processi all’interno dei quali le persone sono coinvolte. Inizialmente è stato considerato come un tratto relativamente stabile della personalità, successivamente come un insieme di reazioni possibili e flessibili alle sfide della vita (Eckenrode, 1991), infine si è giunti a ritenerlo un processo dove sono in gioco le interazioni tra le risorse dell’individuo, gli eventi nella loro oggettività, la valutazione (appraisal) che l’individuo fa di tali eventi, la disponibilità a fare degli sforzi, gli sforzi realmente fatti e il loro esito a medio e lungo termine (Skinner, Edge, 1998). Negli anni ‘70 il coping ha iniziato ad essere considerato come un costrutto multidimensionale e un processo sociale (Berg, Meegan, Deviney, 1998). Ad un primo sguardo può sembrare che il coping e la resilienza siano dei costrutti sostanzialmente simili, in realtà i due costrutti, pur avendo molti punti di sovrapposizione, sono da considerarsi distinti e, più nello specifico, le strategie di coping partecipano al fenomeno della resilienza che è però più vasto (Cyrulnik, Malaguti, 2005). La self efficacy è stata definita in termini di credenza circa le capacità di eseguire i compiti o, più specificamente di adottare con successo un determinato comportamento” (Bandura, 1977, p.79). Il successo nell’adottare un comportamento dipende non solo dall’effettiva disponibilità delle capacità necessarie, ma anche dalla convinzione di essere in grado di utilizzare tali capacità nelle situazioni appropriate. La credenza circa le proprie capacità influisce sulla scelta di cosa fare, sull’ammontare degli sforzi da mobilitare, sulla perseveranza di fronte alle difficoltà. L’importanza del costrutto è sottolineata da numerosi studi, in particolare in ambito lavorativo i risultati ottenuti dai diversi ricercatori mostrano che la self efficacy è correlata positivamente con le prestazioni di lavoro, con l’acquisizione di nuove competenze in diverse situazioni di training, con l’elaborazione delle informazioni connessa alla scelta del proprio percorso di carriera. Il costrutto di self-efficacy oltre ad essere stato concettualizzato e operazionalizzato in termini di credenza specifico-situazionale è stato concettualizzato come credenza generalizzata (Bandura et al. 1977) non legata a contesti specifici. Esiste, infatti l’evidenza che le esperienze di controllo personale, che contribuiscono alla formazione di aspettative di efficacia, possano essere trasferite da una situazione ad un’altra. Esperienze passate di successo e fallimento in una varietà di situazioni possono condurre allo sviluppo di un set generale di aspettative che l’individuo trasferisce a situazioni nuove. Il presente progetto di ricerca si propone di analizzare le conseguenze della crisi economica sia in termini di precarietà che di disoccupazione nell’ottica della psicologia positiva. In particolare l’obiettivo generale è lo studio del processo di fronteggiamento e superamento rispetto alla precarietà e alla perdita del posto di lavoro. Analizzare i processi psicologici (resilienza, coping, self efficacy) che sottendono la risoluzione positiva dell’evento critico e consentono una “reintegrazione resiliente”. Fasi della ricerca - analisi della letteratura di settore - fase esplorativa: raccolta dati quali-quantitativi - definizione di uno strumento di indagine (partendo dalle scale presenti in letteratura quali: la Dispositional Resilience Scale – II (DRS-II) di Sinclair e Oliver (2003) e il Coping Orientation to Problems Experiences (COPE) di Carver, Scheier e Weintraub, 1989) - individuazione di possibili interventi e percorsi di formazione